Sud del Peloponneso, siamo proprio sull’unghia del terzo dito del Peloponneso, quello che separa mar Ionio, un po’ anche nostro, dal mare Egeo, quello del vento forte, quello della storia, quello figo davvero. La tappa è obbligata, da lì poi, c’è la traversata, 75 miglia, per arrivare alla prima isola dell’arcipelago delle Cicladi, Milos. Meglio partire con i serbatoi pieni, acqua e gasolio, ma anche la dispensa, non sapendo poi cosa troveremo sulle isolette a venire meglio salpare carichi di tutto. Lasciamo Elafonissos, il paradiso, quell’itsmo di sabbia bianca che ogni volta ci incanta, ci invita a salire sul suo promontorio, perché se è increbile da ground zero, figuriamoci da lassù cosa si può vedere.Questa volta ci armiamo di drone oltre che della tecnologia spiccia. Forse il termine “paradiso” è da rivedere quest’anno. La prima volta che abbiamo ancorato in questa baia, correva l’ anno 2015, eravamo soli, noi alla fonda segnavamo il centro di questo golfo perfetto. In spiaggia una fila di 5, azzardo 6 ombrelloni di legno e paglia, solo un paio occupati. La sentivamo nostra, presto colorata con secchielli e palette; poi le voci dei marinai, dai motoscafari, degli ombrellonai e dei nudisti si deve essere sparsa negli ultimi anni, al punto tale che gli ombrelloni sono diventi 50, che le barche coprono l’azzurro del golfo e peni stanchi strisciano sul bagnasciuga.
Due riprese, un bagno, cenetta a bordo a la mattina siamo partiti per Kithira . Anche questo luogo non ci è nuovo, ma ci ritorniamo molto volentieri perché è un’isola con tanto da dare, nella sua semplicità e compostezza. È un’isola abbastanza grande, puntinata di insediamenti qua e là, silenziosa e umile, forse perché ha una dimensione tale per cui può bastare a se stessa e la sua bellezza non ha nulla da invidiare a isole più modaiole, chiassose e abusate. La tappa forzata è durata 6 giorni- 5 notti, vento ,vento e ancora vento, impossibile muoversi, impossibile per noi ,che cerchiamo relax e non una corsa contro il tempo per raggiungere una meta ancora non ben definita. In previsione della sosta prolungata decidiamo di ormeggiare nel porticciolo. Più facile la discesa a terra per raggiungere spiaggia e panettiere e magari anche una cena in taverna. Gli obiettivi per questa lunga permanenza erano tanti: pulire, sistemare,scrivere, lavorare, compiti, aggiornare la lista dei lavori che ci eravamo prefissati di terminare in navigazione….tutto mantenuto in parte. Diciamo che è stata una vacanza nella vacanza. Primo giorno, senza pensarci due volte tutti diretti in spiaggia 6 ore di lettino (10€ ) mare a 5 mt, minimarket a 10 mt, barca-casa a 80mt. Tipica giornata da secchiello paletta libro bagno e panino al pomodoro sotto l’ombrellone.A fine giornata io e Stefano con sguardo d’intesa, capiamo che non possiamo passare 5 giorni così. Allora dal cazzeggio in spiaggia, passiamo al cazzeggio in barca. Ogni tanto leggiamo, qualche paginetta di matematica, si gioca a scacchi,un’ avvitatina qua e là, mangiare e dormire a orari decisamente improbabili, poi lo sforzo più grande: portare la Pepper a 30 MT dall’ormeggio per i suoi bisogni. Il terzo giorno mentre ci bevevamo una birra gelata in una taverna e i bambini giocavano davanti a noi in mare, abbiamo deciso di reagire alla vita.Così la sera in ordine: taxi per raggiungere Chora la “capitale” e rientro in notturna per boschi e sentieri, Mimmo nel marsupio, Nina con i sandali per mano e illuminati dalla torcia del cellulare.il tutto sotto una stellata magnifica; la mattina successiva, sventrato e pulito Shibu da capo a piedi, ore e ore di lavoro per me e Ste mentre il biondo dormiva e gli altri due si mangiavano il libro delle vacanze; Invitato il vicino di barca spagnolo per aperitivo,che ci ha dato buca, così rimediamo sull’equipaggio italiano, veneti, 6, organizzo aperitivo in pompa magna e prosecco a fiumi (nostro,forse non era all’altezza). Il giorno seguente abbiamo affittato un’ auto, un giro per l’isola e dulcis in fundo camminata al monastero incastonato come un diamante nella parete di roccia. Diciamo che abbiamo recuperato le giornate di relax. Il taxi ci lascia all’inizio della strada pedonale della Chora e in un batter di ciglia siamo circondati da case bianche e viuzze segrete. Non visitiamo il castello perché la avevamo già visto anni fa , preferiamo perderci tra i labirinti bianchi seguendo il profumo della griglia si qualche taverna.Girare in macchina per Kithira è una figata pazzesca. Abbiamo lasciato Kipsali a metà mattina, auto abbastanza minuscola, ma super economica quindi perfetta, i tre ragazzi sono stati stipati nei sedili posteriori, nel mini bagagliaio: ombrellone, parei, ecc eccSaliamo i curvoni per scavallare la collina, dall’alto il mare turchese del porticciolo è incorniciato dai tetti bianchi delle taverne e in fondo, proprio sopra l’ormeggio di Shibumi, il faro, bianco, che sa ancora di tempera fresca con sopra la bandiera Greca che svolazza imbizzarrita sotto i 35 nodi di vento. Il mare dall’alto è straordinario, le sfumature delle raffiche che scendono dal promontorio si muovono veloci, disegnano delle righe, poi si aprono a raggiera e poi cambiano direzione, anche se il vento viaggia veloce da lassù tutto sembra muoversi a rallentatore, fermo.Seguiamo la strada principale, due corsie strette con un asfalto liso e lucido. È un susseguirsi di campagna e casette, poi un villaggio poi ancora campagna, alcune villazze dal design minimal e attuale, poi Timo vomita, gli altri due sono affamati, nell’entro terra il vento si è spento e fa caldo, molto caldo! Ci fiondiamo nella prima taverna che incontriamo: cibo, birra gelata e un bagno per lavare i vestiti di Timo. Ci serve al tavolino rigorosamente con tovaglia di carta di rappresentanta la cartina dell’isola, il sedicenne più lento e brufoloso della Grecia, maldestro e svampito, ma di lui apprezziamo il fatto che anche se è estate, e fa un caldo bestia, lui sia lì a districarsi tra ordinazioni e comande, ad aiutare i genitori nella taverna, invece che ascoltare trap in spiaggia con gli amici brufolosi. Nell’orario peggiore della giornata risaliamo in auto verso nord dove avremmo dovuto visitare un antico forno, ma non lo troviamo, così decidiamo di seguire dei carrelli che portano a delle sorgenti.Quest’isola è piena di acqua surgiva, dolce e fresca, a volte forma delle cascate e a volte delle pozze dove ci si può immergere. Per raggiungere queste di cui mi sfugge il nome, siamo dovuti scendere parecchio di altitudine, questo paese è stato costruito all’interno di un burrone dove al centro si trova la sorgente. Rimaniamo colpiti in primis dalla temperatura 26°, poi dalla vegetazione verde e rigogliosa, felci e banani che si mischiano a rocce coperte di muschio. Lasciata la macchina al parcheggio seguiamo il rumore dell’acqua e ci troviamo in un luogo disneyano. Alla flora che non smette di arricchirsi di fiori e platani secolari, si aggiungono una quantità di insetti impressionante. Sembra di stare dentro quelle serre che riproducono l’ambiente tropicale: farfalle e libellule di ogni forma e colore ci svolazzano intorno, cinguettii, ronzii di calabroni grossi come mandarini, e le immancabili api. I bambini saltellano nell’acqua inseguendo rane e rimanendo sbalorditi nel vedere che nel ruscello rospi e granchi convivono!Rimaniamo un po’ a goderci il fresco e i bambini l’acqua fresca, poi andiamo a vedere una delle tante spiagge che in barca sono difficili da raggiungere. Ci ritroviamo di nuovo sulla strada tra muretti a secco e cespugli bassi, il mare blu fa un arco davanti al nostro parabrezza rovente, di fronte Elafonissos con le navi mercantili che come processionarie attraversano il canale, un aereo che atterra e la strada asfaltata che termina in uno sterrato rosso ruggine. Proseguiamo intravedendo un cartello che indicava “beach”, lo seguiamo e dopo qualche traballamento con la macchinina sgangherata arriviamo in un posto super. Ciottoli che sfumano dal grigio al rosso mattone, mare cristallino e fondale che scende subito a picco, un regalo per i bambini che si tuffano dentro ogni onda. Due file di ombrelloni eleganti, un baretto silenzioso di legno costruito da poco. Pochissima gente, sarà l’ora o la difficile accessibilità del posto, ma noi non dispiace e ci godiamo un po’ di relax. Ste sparisce per un’ora, si mimetizza nelle rocce a fare una phonconference, io e i bambini facciamo la gara a chi trova il sassone più originale da portare a casa. Lo trova Iago, ma al momento di andarcene ce lo dimentichiamo sotto al lettino.Il nostro stomaco e la signorina del bar con i Jeans a vita più alta che io abbia mai visto, ci ricordano che è ora di levare i tacchi, risaliamo in macchina in cerca di un “pitaro”. Torniamo verso sud passando da una specie di canyon con la roccia che si taglia in verticale affiamcata da una strada che sale a serpente ripida ripida, poi un altopiano di cespugli e alberi secchi secchi. Chiedo a Stefano di fermarsi e spegnere la macchina, ordino un perentorio: “adesso tutti zitti” e per una manciata di minuti riusciamo a sentire il silenzio più totale di quella distesa selvaggia e verde. Il sole scende tra le nuvole che lasciano un buco a forma di occhio, i raggi passano dritti e illuminano il poco che resta, uno spettacolo!Ci sfama una taverna affollata, i tavolini dal marciapiede scendono addirittura sulla carreggiata e si perdono tra i banchetti del mercatino del paese che raduna una volta alla settimana i vecchini dell’isola che offrono ai turisti i loro prodotti. È tempo di fare il pieno all’auto e rientrare a casa, davanti al nostro ormeggio ci aspettavano gli amici veneri con una scatola colma di dolci greci che ovviamente hanno avuto breve vita, davvero straordinari!grazie. L’indomani sveglia presto, 9:30 e andiamo in gita a vedere il monastero incastrato nella parete rocciosa alle spalle di Kipsali, una camminata onesta se non fosse per il solito orario improponibile 11:00, caldo infernale, ma ventilato 25 nodi) dopo 10 minuti avevamo già finito l’acqua. Usciti dal sentiero dentro la pineta iniziano i gradini per la salita verso il monastero. Il percorso si fa stretto stretto, le vertigini aumentano come l’apprensione per i bambini che facciano il passo sbagliato. Arriviano, entriamo e subito siamo/ sono per la verità, avvolta da un’atmosfera magica, il monastero di fatto si traduce in una grotta 7 MT per 3 di larghezza scavato dentro la roccia, o forse era una grotta e gli hanno messo un muro, comunque sia, è stupendo, dipinti di 500 anni fa ancora intatti,blu, rosso terracotta, oro, legni intarsiati, i legni delle sedute un po’ meno, poi una scaletta che sale dentro ad un buco con una finestra sulla baia, dove il monaco Nicolao,per 40 GG non si schiodò si li per meditare e pensare all’Apocalisse,curioso….accendiamo una candela sottile e usciamo.Kithira ci sorprende sempre, ogni volta scopriamo di lei dei lati nuovi e ogni volta ci da conferma di essere un’isola da consigliare a tutti quelli che ci chiedono quale isola greca valga la pena visitare. In questi giorni hanno ormeggiato accanto a noi magnati russi su yacht che passavano di gran lunga la nostra prua, che non perdevano nemmeno tempo di scendere a terra, ne per testare una taverna, ne per avere un contatto umano con un’altra realtà ne per la curiosità di visitare un luogo. Hanno passato più di 24 seduti sulle loro comode poltrone in Alcantara con un campanellino dorato sul tavolo che veniva suonato per chiamare la filippina di turno per una coca cola gelata o un whiskey con ghiaccio, così faceva,lui, la moglie e i bambini che saranno stati coetanei dei nostri. Nina appena ha visto i marmocchi si era illusa “magari trovo un’amica del cuore russa!” Iago si immaginava già a giocare nella sala cinema alla Play con maxischermo. Ma tutto ciò non sarebbe potuto accadere perché LORO sono diversi da NOI. Noi saremmo potuti andare a nozze con l’olandese con il costume slandraro, e dei pneumatici sbiancati come parabordi. Magro fino all’osso, bruciato dal sole, braghe di cotone lise e magliettina bucata, ciabatte da piscina e birra del discount…che però con il suo savoir faire la mattina esce dal pozzetto con una morettina rimorchiata la sera prima in taverna, la scarica e ignaro dei 35 nodi che soffiano senza sosta molle gli ormeggi, con delle cime giuntate di 4 colori diversi e riprende il mare.Ecco noi preferiamo questi marinai!Il meteo è dalla nostra parte ci annuncia che possiamo partire, la mattina dopo all’alba, caffè e pane tostato giro bisogni Pepper e si riparte verso est, Milos.
Kalispèra Stefano, Sara, Iago, Nina, Timo e Pepper … è stato un piacere incontrarvi e parlare con voi a Kythera su Shibumi ⛵
Stiamo iniziando a pensare ad una buona idea da proporvi per essere l’altra metà della vostra mela ?
Buon vento con stima e affetto, continueremo a navigare con voi ma per adesso solo virtualmente !!
I 6 veneti (Gianni, Tiziana, Matteo, Giacomo, Lorenzo e Davide) su Talita ⛵
Ciao Davide, è stato un piacere avervi a bordo! Avanti con le idee, noi siamo sempre in attesa. A presto!