I voli erano prenotati da un mese, ma fino all’ultimo, con tre figli, la certezza di partire non c’è mai. Invece, alle 11:00 in punto di giovedi 20 febbraio 2020 il nostro volo Aegean parte alla vota di Atene. La tachicardia da decollo, il panico dei posti finestrino terminati, l’ansia del: “cazzo se precipitiamo adesso chi si occuperà dei nostri bambini” e poi, appena passate le nuvole il sole ti illumina, l’aereo si mette orizzontale, hai tra le mani un buon libro e tutto si placa, inizia il relax. Finalmente sgancio un sorriso e un bacio a mio marito che fino a quel momento era un banale portaborse e realizzi che da ora, per i prossimi 4 giorni, non avrò nessuno che pronuncerà quella parolina magica: “mamma”, per 4578 volte al giorno, solo per avere la conferma che sono nel loro raggio di 2 metri; non curanti che pronunciare in vano quel nome, porta una povera giovane madre prima o poi rende debole il suo sitema nervoso!

“Io vado al noleggio auto”, “ok io in farmacia prendere qualcosa per le emorroidi”. Sì, non c’è da vergognarsi, mai provata l’ebrezza di faticare a sedersi,camminare, tossire, respirare? Del resto quando lo stress ti ha già provocato: extrasistoli, logorato la cervicale, conclamato il colon irritabile e si è manifestato sotto forma di reflusso gastrico e insonnia, da qualche parte dovrà pur dare sfogo nel corpo umano, il mio per l’esattezza. Così carichi di gasolio, adrenalina e Proctolin ci barrichiamo nella nostra Panda a nolo e inforchiamo l’autostrada a tutta birra: 100Km/h… Sono le 15:00 ora greca, le nuvole bianche accecanti si stagliano sul cielo azzurro-Grecia, dovrebbero farne un colore Pantone, perché da nessuna parte il cielo ha questa intensità di tono; in lontanaza il temporale che ha accompagnato la gionata viene spazzato via dall’immancabile vento, ancora qualche lampo, ma l’asfalto è già asciutto quindi diamo gas, perchè andare da Atene a Preveza sono ben 4 ore di auto.

La tappa a Corinto era quasi obbligatoria, dopo aver attaversato lo stretto svariate volte da est a ovest e viceversa, per una volta volevamo abbassare gli occhi, invece che alzarli, per vedere la sua imponenza. Una videochiamata veloce a Iago per fargli vedere dove siamo e immediatamente il suo stupore e la sua felicità attraversano il telefono “nooooo Corintoooooo, bellloooo”. Risaliamo presto sul Pandino prima che una raffica di vento non ci faccia provare l’ebrezza del bunjing jumping senza elastico. La fame incombe, il profumo di souvlaky che arriva dall’unico street food aperto in questo periodo sul piazzale turistico, ci ricorda che non abbiamo pranzato, così fermiano in un baretto sulla via che ci riporta in autostrada. Il solito: due pita gyros e due birre, rigorosamente nazionali, oggi ne testiamo una nuova, fatta con l’acqua dell’isola di Ikaria, a Stefano piace, io me la scolo tutta anche se ha un retrogusto amaro tipo vomito, che non ne fa delle migliori bevute in terra ellenica. Paghiamo 5€ a testa e ripartiamo.

Il mare di Corinto ci scorre sulla destra, nuvoloni grigi si alternano a fasci di arcobaleno saturi di colore, riconosciamo alcuni posti che avevamo visto via mare l’estate scorsa, ricordi belli, come sempre lo sono i ricordi che abbiamo sulla nostra casa galleggiante. Attraversiamo il ponte del Rion, altra bellezza che vediamo solitamente da un altro punto di vista, l’ingegneria architettonica non ha badato a spese, noi pure. Arriviamo dalle nostre parti che oramai è buio, riconosciamo a stento il paesaggio, ora una strada statale super illuminata ha preso il posto di stradine a una corsia che serpeggiavano tra le colline verdi abitate da capre e pecore; per chi poi hanno costruito tutto sto popò di roba, che se passa un carretto carico di letame al giorno è già tanto! Ma il governo greco del resto è un po’ imprevedibile come quello italiano.

Una Via lattea familiare si staglia davanti sul golfo, una stella cadente sembra passare di lì apposta per noi, la musica, le parole, due mani che si accarezzano sul cambio, ed eccoci di nuovo a casa. Il baretto di Aspasia è sempre lì all’angolo, soliti tavolini protetti dal vento da una veranda di plastica trasparente, solita griglia accesa, stasera anche la stufa, solita cena, solito sorriso, mancano solo loro, ” Where are your kids?”. Spieghiamo che questa volta siamo soli, dobbiamo lavorare duro per 4 giorni e purtroppo la loro presenza intralcierebbe.

Una via vai di volpi ci attraversano la strada, buio pesto, la taverna Panos, spenta, riaprirà a Pasqua, ci siamo, i lampioni a 20000 lumen illuminano il piazzale. Con la pancia piena e soddisfatta siamo finalmente arrivati in cantiere! Dove solitamente Iago, Nina e Timo scorrazzano in bici, giocano a nascondino, a palla e animano il cantiere e dove Pepper gioca con i suoi amici pelosi e arrapati, ora ci sono decine di barche e catamarani in secca, Shibumi si vede a stento, anzi per niente. Parcheggiamo vicino al cancello perchè impossibile arrivare sotto lo scafo come facciamo solitamente. Salutiamo l’amico guardiano irriconoscibile anche lui con giacca a vento e pantaloni lunghi e facciamo tappa in bagno, poi finalmente da lei!

La temperatura all’interno non è delle più accoglienti,  10°, ma è l’occasione buona per testare il riscaldamento che ha installato Stefano a novembre: accende, parte, inizia a scaldare, si spegne… Iniziamo bene! Dopo aver fatto scrupolosi controlli, Ste si accorge che le batterie sono a terra, il genio che è salito per ultimo in barca per fare dei lavori si era dimenticato la luce della sala macchine accesa. Stefano impreca in tutte le lingue che conosce, io pragmatica, tiro fuori tutte le coperte che ci sono bordo (2) mi infilo a letto vedtita com’ero e dormo. Scoprirò poi la mattina che durante l’inverno in tutte le cabine è entrata acqua e che i materassi un po’ ovunque sono zuppi, ma intanto mi sono fatta una dormita talemente profonda che mi sembrava di essere di nuovo una teen ager, quando alle 11 di mattina se tutto va bene esci dal letto, quando l’ansia non sai cosa sia e soprattutto quando non hai dei figli nei paraggi!

Il risveglio è stato molto piacevole, innanzitutto dettato dalle regole fisiologiche della natura e non da una sveglia, da un: “mammaaaaa la pipì”, o un : “mamma mi interroghi che ho la verifica?”. La porta della cabina chiusa tratteneva il calore dell’effetto stalla della notte, l’odore del caffè che chissà perchè riesce sempre a oltrepassare le barriere e infine lui: Buongiorno amore! La giornata inizia con caffè-latte e biscotti, appollaiata tra la cassetta degli atrezzi e oggetti non ben identificati, cappellino di lana in testa e pigiama sotto la tuta, fa freddo! Bastano pochi movimenti: aprire tutti gli oblò, mettere sul ponte i materassi ad asciugare e incazzarsi con la tappezziera (ha toppato tutte le misure dei cuscini), che la temperatura corporea si alza subito. Tolgo almeno il pigiama che sttretto lì sotto mi limitava nei movimenti, ma il berretto me lo tengo stretto ancora per un po’ perchè, il sole anche se il sole è caldo, l’aria è comunque quella di febbraio.

In barca regna il solito casino, io e ste ci diviadiamo i compiti, il tempo a disposizione è poco, le cose da fare tante. La prima cosa da fare è finire di installare il Webasto, il sistema di riscaldamento, dormire al freddo una notte ci sta, tre no! Così la mattina scorre tra un passami il cacciavite, taglia il tubo, metti l’olio, avvita qui, trapana di là. Passano quattro ore ma ne percepiamo 20, il tempo sembra aver tirato il freno a mano, sembra passata un’eternità da quando bevevo il caffè infreddolita a quando ero fuori al sole a riempire i serbatoi di acqua, sempre col cappellino.

Appena lo stomaco richiama la nostra attenzione ci accorgiamo che sono le 14:00, forse è tempo di una pausa e mettere qualcosa sotto i denti. Non c’è nulla di aperto nel raggio di 15 km, se non la nostra amica-garanzia così direzione Aspasia.

Il cielo è come quello di ieri, solo senza una nuvola, le colline sono verdissime, una gregge di pecore copre l’intera corsia opposta alla nostra e ci avvolge.

C’è qualcosa di strano, una percezione, una sensazione, un’emozione…. Provo a parlare, provo a esternare a Ste quello che sto provando, ma la mia voce è tagliata dal magone, gli occhi sono umidi, sento il cuore che si pompa, come se si stesse gonfiando. Sto zitta non riesco a proferir parola, mando indietro il groppone e mi guardo intorno: un cantiere alle spalle, animali al pascolo sulle colline, non un’anima nei paraggi, il vento, il mare e poi le mani sporche di grasso, le unghie spezzate, i capelli schiacciati dopo ore di cappellino di lana, una tuta rotta, un pile viola di 20 anni fa che sa di muffa, le calze bucate sul pollicione, le scarpe gialle pure. Ho le occhiaie, abbiamo dormito con 10° su materassi bagnaticci, ho già le gambe a pezzi dal sali scendi dalla barca, eppure…eppure sono felice! Si sono felice, mi sento libera, leggera, in espensione, grata… non riesco a trovare le parole…ogni parola ha una definizione, ma questa sensazione una parola non ce l’ha, va solo provata per capirla… e Lui, come me la conosce, perchè lo guardo e anche i suoi occhi brillano, come sempre ci capiamo e non serve dire altro, solita mano intrecciata sul cambio e ci godiamo quel momento di estrema felicità, quel momento do WOW che prende tutto il nostro spazio.

Mangiare e bere con 12€ in due ci sembra sempre una cosa assurda eppure sa Aspasia si può. Il pranzo non dura molto, non può durare molto perchè Shibumi ci aspetta. Il tempo per fare il punto della situazione sui lavori e scambiare opinioni sulla pianificazione del nostro viaggio lo troviamo, soprattutto perchè senza le interruzioni dei bambini riusciamo a esprimere un concetto, iniziare e concludere un discorso. I bambini….ci mancano? Sarò una madre degenere ma la risposta è no, o meglio mi mancano perchè li amo, sono tutto per me e bla bla bla, ma ogni tanto riprendere fiato ed energie è vitale. In 11 anni le volte che io e Stefano siamo stati via senza figli per più di una notte in si possono contare sulle dita di una mano, quindi ben venga questo week end: stancante fisicamente ma rigenerante mentalmente.

Il pomeriggio insegno una parola italiana a Vera, la tappezziera: cagacazzo! Non è riferita a lei percarità, ma alla sottoscritta. Del resto se lei avesse azzeccato le misure dei cuscini, le sagome e i materiali io non mi sarei autodefinita tale per giustificare ogni mio appunto sulle cose che lei ha toppato. Cerchiamo di porre rimedio e limitare i danni a un lavoro da rifare anche se la curiosirtà di sapere “chi pagherà”mi attanaglia, ma non ho avuto il coraggio di chiederglielo, lei sorrideva, io sorridevo (per finta) ed è finita come sempre finisce quando hai a che fare con in greci: un sorriso una stretta di mano e via!

A fine giornata non abbiamo il coraggio di andare nel bagno gelido del cantiere per farci una doccia, i programmi della cenetta romantica eleganti sul mare saltano in due minuti, ci guardiamo intorno e la barca è sottosopra, puzziamo e una bella busta di riso alla milane liofilizzato andrà benissimo. Stefano fa ordine tra le scartoffie dei documenti, io scrivo il mio blog, la musica, la birra, il tepore del riscalamento installato e funzionante e due cucchiai che direttamente dalla padella fanno fuori il risotto. Vedere i nostri bimbi tramite una videochiamata ci fa venire un po’ di malinconia, loro dai parenti sono felici ma il lo sguardo rimane quello di chi è li di passsaggio, sono occhi in attesa, ma felici, sempre.

Al freddo della mattina seguente si è unito un bel acquazzone, ritira i cuscini, chiudi tutto, tappati in barca e senza sosta si continua a lavorare: fare la conta delle dotazioni di sicurezza, mettere olio nel timone, svuotare gavoni allagati, testare posizioni da kamasutra per riuscire a infilare una vite da una parte mentre l’altro stringe dall’altra, insomma la noia non sappiamo cosa sia. Alla fine la cena romantica con il riso direttamente dalla padella non era male e ci teniamo questo menù anche per la sera.

Sabato usciamo a pranzo e decidiamo di andare a Lefkada alla ricerca di una taverna, pur buono che sia il pita gyros, ma ad un certo punto possiamo anche cambiare pietanza. Lefkada è identica a come la vediamo d’estate, però vuota, qualche auto di passaggio, solo un paio di locali aperti sul lungo mare, non un clacson, non odore di fritto per le strade, non un brusio di vacanzieri di fondo, non mille barche di charter in porto. C’è talmente tanta pace che le lagune dietro al paese si popolano di fenicotteri rosa, aironi e una miriade di uccelli che fanno tappa prima di riprendere il loro viaggio. Mangiamo divinamente in una tavernuccia senza pretese, ma la mano della nonnina che ha fatto le polpettine di zucchini fresche è inconfondibile.  Un litro di vino bianco e io parto con discorsi empirici, Stefano mi segue a ruota, ma poi guardiamo l’orologio e capiamo che dobbiamo dare un taglio alle parole e correre in cantiere.

La sera prendiamo coraggio e ci laviamo, io finisco tutta l’acqua calda dei bagni, mi faccio scorrere l’acqua bollente sulla schiena per trenta minuti, ho le mani gonfie, mi fanno male, tutta colpa dei cacciaviti, la schiena e le gambe le sento rotte, fosse stato almeno per una altro tipo di kamasutra almeno sarei stata felice….Mi asciugo e mi vesto in tempo da record, una passata ai capelli sotto il phon freddo per aciugare le mani ed esco ad aspettare Ste.

Sono nel cuore del cantiere circondata da mille e mille barche, non un’anima se non la Zoppa, la cagna che vive lì, l’amica-nemica di Pepper. Il cielo è ora tesro, il temporale di oggi ha spazzato via tutto, la luna stasera non c’è, solo migliaia di stelle e un silenzio surreale, potrei sentire il rumore di uno spillo cadere, sembra di stare nella cabina insonorizzata dell’esame audiometrico, paralizzante. Chiudo gli occhi mi sembra di volare, sento l’immenso, sento l’appertenenza a quel silenzio, un momento magico, poi lo sciacquone dal bagno degli uomini mi fa tornare con i piedi per terra, Stefano ha finito, torniamo a bordo.

Quando siamo soli diamo il meglio di noi, ci apriamo come dei libri al vento, le parole, i sogni, i progetti volano nella dinette e prendono forma, prendono il loro posto, i miei dentro i suoi, i suoi dentro i miei, come lo Yin e yang si accolgono uno nell’altro. Con umiltà e in punta di piedi proviamo a stendere un programma sui prossimi mesi, il volo per tornare in Grecia tutti e 5 è già prenotato per il 7 aprile, faremo il traferimento a Pasqua, sperando in un meteo clemente. Settimana prossima andremo sul Magra a parlare col cantiere che ci ospiterà per i lavori finali. Dall’agenzia arrivano buone notizie, forse c’è un possibile acquirente interessato alla nostra casa, tutto si sta disegnado come avevamo in mente, i cambi programma fatti fin’ora sono stati inevitabili, ma siamo felici, conteti di noi delle nostre scelte e dell’entusiamo che ancora, anche se con alti e bassi non ci hha mai lasciati.

Domani torneremo in Italia, 4 giorni sono volati, abbiamo voglia di stringere i nostri ragazzi, iniziare afare un vero e prorpio conto alla rovescio, 5 mesi passano in fretta. La serata si sta concludendo siamo stanchi e vogliamo dormire, seguiamo le ultime notizie che arrivano dall’Italia, il Coronavisrus è arrivato anche nel nostro paese.

La domenica mattina arriva veloce, come la notizia che il contagio sta aumentando, da 30 a 60 contagiati in 24h. Non capiamo bene quanto sia grave la situazione, non sappiamo se prenderla con leggerezza o se essere preoccupati, certo è che prima di arrivare in aeroporto ci fermiamo in una farmacia a prendere delle mascherine. In fila per l’imbarco noi e forse un’altra coppia siamo gli unici mascherati, ci sentiamo osservati. Finalmente il lato finestrino, io come una bambina faccio foto e mi esalto davanti ad ogni cosa che riesco a riconoscere dall’alto, una baia, un‘isola, perfino il canale che separa Preveza dal nostro cantiere, una massa biancastra, li dentro c’è anche la nostra Shibu, un’emozione dopo l’altra. Cerco appoggio in Stefano ma mi guarda scocciato, vuole dormire. Sono stati dei giorni importanti, pesanti, fisicamente ma anche emotivamente, tangere con mano che il nostro sogno mese dopo mese sta prendendo sempre più forma a volta spaventa, ma la paura fomenta la curiosità di come andrà a finire.




























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