Un pezzo scritto un mese fa nel periodo di quarantena trascorso a Sarzana, ma sempre molto attuale.
Per fortuna c’è Pepper, la scusa, l’opportunità, l’esigenza o semplicemente la fortuna di avere un cane in questo periodo di merda. Passeggio nell’isolato, il nostro, in quello vicino non ci posso andare, se passa la polizia mi denuncia, sarei a 100 mt da casa, (casa….), così mi accontento di contare con i passi il perimetro del quadrilatero a mia disposizione, decisamente ben diverso da quello della moda Milanese. Il villino Susanna, l’estetista Doriana, quella che mi ha fatto manicure e pedicure per il mio matrimonio (ha tratti palesemente trans, ma forse si è solo rifatta male), il palazzo che sventola le lenzuola della speranza, con arcobaleni sgargianti bel legate ai balconi, il campetto dove ogni tanto il pomeriggio ci concediamo due passaggi a pallone…e poi la stradina dietro casa, quella che chiude i parcheggi delle villette a schiera, quella dove le luci dei lampioni non abbagliano, quella dove l’umidità della sera si fa sentire per prima, quella che divide gli edifici da un un prato e un ruscello, presumibilmente una rigagnolo di fogna, ma la poesia dei salici piangenti che lo costeggia mi fa essere più romantica.
Ecco proprio lì, dove il buio si fa più intenso, quando nel nero della sera perdo di vista Pepper, proprio lì alzo gli occhi al cielo e in un attimo è come tuffarsi a casa. Nel firmamento ritrovo qualcosa di famigliare, una vista conosciuta che dà sicurezza. La vita è cambiata da un mese a questa parte, ma se guardo su, lui è sempre lo stesso, il cielo è sempre lì, intonso, mi fa sentire protetta. Sotto di lui stanno succedendo fatti che troveranno spazio nei libri di storia dei nostri nipoti eppure lui sarà ancora lì, sempre lo stesso, silenzioso, spettacolare, come un vecchio quadro appeso al muro che osserva, si fa osservare, ma non proferisce parola. Un mese fa, quando il 23 febbraio atterrammo a Milano da Atene già con la mascherina sul viso, perchè “non si sa mai”, i contagi erano saliti da 20 a 40 in due giorni, ora, dopo un mese 3957 tremilanovecentocinquantasette, in un giorno, 100.000 in un mese. Dichiarata pandemia!
Il lunedì successivo, col rientro a casa, siamo stati catapultati in una vita che già non era più la stessa. Chi lo avrebbe mai detto che da quella domenica tutto sarebbe cambiato? Chi lo avrebbe mai detto che di lì a un mese la vita di milioni di Italiani sarebbe stata stravolta? La nostra vita E’ stata stravolta. Così ritorno a perdermi in quel cielo, quello che ci fa da coperta nelle notti d’estate, quello che saluto tutte le sere prima di andare a letto. Venere è sempre lì, primeggia su tutti gli astri, l’Orsa Maggiore, ferma imponente a volte è come se volesse lei tenere insieme il cielo e poi so che se mi giro di 180° vedo lui “Tris”, sono quelle tre stelline luminose quanto basta, perfettamente equidistanti tra loro. Da piccola Nina una sera, sdraiati sul ponte col naso all’insù, disse: – Quelli siamo noi tre: Io, Iago e Timo, ogni volta che ci sentiamo soli guardiamo queste tre stelle e ci sentiremo tutti uniti!- . La sua uscita non faceva una piega. Così quando guardo Tris mi sembra una di quelle sere di sempre quando mi affaccio alla finestra per chiudere le persiane e dire buonanotte al cielo. Però questa non è una sera di sempre, questa non è più la vita di sempre. Quando ti svegli al mattino dentro quattro mura e sai che da lì non potrai uscire, quando non devi più urlare – “muovetevi che siamo in ritardo per la scuola”-, quando il tuo unico pensiero è cosa mangiare oggi, quando sai che non ci sono più allenamenti, attività pomeridiane, cappuccio e brioches al bar, quando sai soprattutto che non avrai l’abbraccio di un’amica, allora arriva la presa di coscienza che tutto è cambiato e non sarà più come prima.
Sta succedendo una cosa strana in questo periodo, oddio ne stanno succedendo tante, ma una cosa mi ha colpito in modo particolare: questo blocco fisico imposto dall’alto, sta facendo venire a galla anche un blocco psicologico curioso. Voglio leggere un libro: com’è che quando non c’era il tempo avevo decine di titoli tra le mani e adesso il vuoto? Vorrei vedere un film, ne avevo in testa un sacco ed ora non riesco a tirarne fuori nemmeno uno? Cerco come una forsennata sui social consigli su cosa leggere/vedere, cerco nelle classifiche: i 10 migliori libri per la quarantena, i 5 libri più letti, la top ten dei film più visti, ma non ne esco. Stare in una casa non mia non aiuta, ma avrei sempre voluto avere tempo per le mie cose e ora che ho tempo non so cosa farci, l’ansia se lo sta inghiottendo tutto.
Le giornate trascorrono con una routine maniacale, questi giorni così vuoti in realtà sono pienissimi: fare scuola con Nina, video-lezioni di Iago, giocare con Timo, poi cucinare, lavare, pulire, poi un ritaglio di lavoro…Un susseguirsi di azioni che hanno ibernato tutti gli altri pensieri.
Una mattina provi a scongelarne uno, QUEL pensiero, provi a guardare oltre la quotidianità, butti l’attenzione ai tuoi progetti, con timore e preoccupazione provi a pensare alla cosa che pesa più di due ore di coda per fare la spesa: il nostro viaggio!… e allora sempre con la lacrima fragile di sempre e con la voce spezzata chiedi al tuo capitano: – Che ne sarà di noi?-. A febbraio eravamo carichi, vedevamo la luce fuori dal tunnel, Shibumi aspettava solo di essere portata in Italia per gli ultimi lavori. Con il trasferimento che avremmo dovuto fare nelle vacanze di Pasqua eravamo a cavallo, averla vicina per prepararla in due mesi e poi a luglio partire, invece domani è Pasqua e noi non siamo in Grecia. Non partire a luglio non vorrebbe dire solo posticipare la partenza, come sempre è la natura che detta le regole, gli alisei per spingerci fino ai caraibi non ci posso aspettare. Se arriviamo tardi oltre oceano ci saranno gli uragani ad attenderci, chi va in barca deve ubbidire ai ritmi di madre natura se no è fottuto. Quindi far saltare tutto non vorrebbe dire posticipare di qualche mese, vorrebbe dire far passare un altro anno, un altro lungo interminabile infinito anno.
Sono stati anni duri, difficili, pesanti: prima il dolore di lasciare la nostra vita a Milano, abituarsi ad una nuovo ritmo in campagna in una casa che non era la nostra Tucidide, una nuova scuola, nuovi compagni e la mancanza di Stefano che lavora lontano. Poi quello che doveva essere solo un anno poi partiamo, sono diventati due, poi tre. Contavamo di fare cassa mettendo in affitto il loft, ma sono arrivati mesi e mesi di insoluti dallo stronzo! Così un giorno vedevamo i nostri sogni sfumare, svanire per poi titrovare l’entusiasmo tipo quando la nonna Canny ci ha regalato il sartiame, un altro passo era stato fatto, ma successivamente ci siamo abbattuti di nuovo quando i conti faticavano a tornare. Poi l’illusione che l’eredità della zia ci avrebbe dato una bella spinta in avanti, invece niente, allora continui a lavorare sempre di più sforni disegni come pizze, ma sei sola, fatichi a tenere insieme la baracca fisicamente e moralmente. Tira la cinghia, i fioretti della quaresima oramai andavano avanti da anni, i figli vogliono quell’attenzione che tu non gli sai più dare perché hai un obiettivo, una meta da raggiungere. Traballavamo, avevamo perso le certezze e non eravamo in grado di darne altre. Poi nelle notti insonni guardavo lui mentre dormiva, il respiro corto, si girava e rigirava nel letto, anche lui tormentato dall’agitazione che attanaglia. Poi arriva l’inevitabile amara decisione di vendere casa, sembrava l’ultimo scoglio da superare, l’ultimo step prima di iniziare la discesa e toccare il sogno con mano…pensavamo: – Una volta venduta casa cosa potrà mai capitare che ci impedisca di partire?- La pandemia, cazzo, la pandemia! Nel mezzo dell’emergenza mondiale Covid-19, contro ogni previsione statistica siamo riusciti a firmare un contratto preliminare, rogito a maggio….in un periodo dove non riesci a vendere nemmeno una cantina, noi siamo riusciti a vendere il nostro loft.
E ora? Ora che pensavamo che i soldi fossero l’ultimo ostacolo per raggiungere il nostro sogno, ora che abbiamo quello che per anni ci ha tenuto le mani legate, ora che avremmo potuto mandare affanculo l’insonnia, ora che l’ansia avrebbe potuto prendere una nota positiva, ora che anche la paura del fallimento di non riuscire a farcela era sparita, ora che eravamo pronti a vidimare le nostre liste TO DO, ora che tutto era quasi pronto per mollare gli ormeggi…Chi lo avrebbe mai detto che sarebbe arrivata una cosa cosi grande? Chi lo avrebbe mai detto che la nostra bacheca non si sarebbe arricchita come pensavamo?
L’onda imperfetta ci ha travolti, ci ha tirato una legnata sui denti pazzesca, quest’onda ha stravolto i nostri piani, ci ha rimesso in gioco, un’altra volta cazzo! Quest’onda ci fa galleggiare sull’incertezza, ci dondola tra insicurezza e smarrimento. Quest’ onda imperfetta di nuovo fa vacillare tutto nel vuoto, ha buttato all’aria programmi, rotte, acquisti, lavori, sogni… Ha svuotato i gavoni della felicità, della grinta e del coraggio. Abbiamo la mente annebbiata, stanca, demotivata, sembriamo zombie che si muovono nella nebbia, non sappiamo cosa fare. E’ come quando dopo un viaggio in mare massacrante vedi il faro, sei ad un passo dal porto, ci sei, sei arrivato, le ultime miglia e poi le acque si placano, il vento non ti congela più la faccia e le mani e puoi finalmente ammainare le vele, riposare nella tua cabina al calduccio con quel dondolio leggero che concilia il sonno. Invece NO! Arriva la nebbia, fitta fitta, non vedi più un cazzo, perdi il faro, il porto, perdi ogni punto di riferimento, sei fottuto.
Però sappiamo che le barche non si ribaltano, che il porto anche se non lo vedi c’è, e che se l’amore che muove il mondo: ce la faremo!