-Io non so se voglio vendere Tucidide!- . E’ con questa frase che nel cuore della notte sveglio Stefano. Pausa, forse dorme non mi ha sentito, meglio, la sua reazione mi spaventa; poi un sospiro e la razionalità affiora: – Dormi Ciccia, ne parliamo domani!- Il domani non ci ha dato occasione per tornare sull’argomento, sempre una distrazione: una lezione di storia da provare, delle tabelline da memorizzare, una cena da preparare, non c’è mai tempo! Un attimo di pace, in macchina prima del corso di inglese, ma non si può spiegare una notte di lacrime in 10 minuti. Lui: -Allora?-. Sai a cosa si riferisce ma non ha voglia di parlare perché sai come va a finire, perché sai che il tuo lato irrazionale, trova sempre uno scontro nel suo invece cosi sistematico e funzionale. Allora taci, sai che si presenterà un‘altra occasione, sai che arriverà il tempo anche per parlare di questo. Poi una colazione al bar, soli, evento raro, si ricade sull’argomento e come dicono i giovani di oggi, mi spegne in una frase:
–Solo chi si guarda indietro non farà mai un cazzo nella vita!-
In silenzio e con le emozioni bloccate finisco il mio cappuccio, per un attimo mi sono sentita come un bambino che viene rimproverato dai genitori, quando però sai che hanno maledettamente ragione loro. Fin da bambina io ho sempre cercato di dare vita a qualsiasi oggetto che di respirare non ne voleva sapere, in tutte le cose vedevo due occhi e un sorriso che mi parlava, avevo un nome per tutti, dalle Barbie, che per un fine ludico ci sta, ma anche ai sassi, gli alberi, alla bicicletta, tant’è che questo vizio non l’ho perso crescendo, ho dato un nome al mio motorino, al computer, alla macchina, al camper… tutto quello che mi tocca da vicino lo sento vivo, perché se qualcosa mi regala emozioni vuol dire che sta vivendo con me. A volte in famiglia parliamo di Priscilla (l’auto) come se fosse un componente della famiglia, oppure un bambino dice: – mi manca il Poppies- come se sentissimo la mancanza di un cane, ma in realtà è il camper….Ecco detto ciò potere immaginare come possa sentire il distacco permanente e definitivo dalla MIA casa. Con la razionalità acquisita negli anni so che in quella casa non ci potremo più ritornare, perché oramai troppo piccola per accogliere la nostra famiglia oramai ingombrante, ma nonostante ciò è ancora mia, so che quando voglio posso ritornare a vederla, annusare ancora dei ricordi, dei bei ricordi, i più belli della mia vita.
Quando eravamo a Milano avevamo una vita semplice e serena, avevamo una stabilità, una certezza. Vivevamo in questa casa splendida, la NOSTRA casa, il nostro nido, il nostro guscio: disegnata da noi, sudata mattone su mattone, amata e vissuta che ha visto nascere i nostri tre figli. Li mi sentivo bene, in pace, potevo chiudere la porta e stare sola. Avevamo un via vai di amici grandi e piccoli, i break dal monitor erano condivisi con persone del mio stesso settore: creativi e mamme. Mi sono divertita ad arredarla, pitturarla reinventarla e decorarla. Sapevo che quei muri erano miei e ci potevo fare quello che volevo, non dovevo chiedere il permesso a nessuno, li tutto era mio ed era li per mio volere e per il mio benessere. Li dentro ho vissuto mesi di dolore dai vari aborti avuti, giorni difficile del post parto, momenti di sconforto alternati a momenti di felicità smisurata con marito figli e amici. Quella casa è stata per me un bagaglio di emozioni che mi porterò nel cuore ma lasciarla è una cosa dura da sopportare.
Poi però ti fermi e ti rendi conto che ancora una volta, su questo, ha ragione lui. Vivere legati ai ricordi di un passato felice non è crescere, non è rinnovarsi. E’ meraviglioso che ci siano stati tantissimi momenti che hanno reso speciale la nostra vita, ne siamo grati, ma dobbiamo dare spazio a nuove esperienze, nuove avventure, sì, forse sarebbe stato più semplice cambiare lavoro o casa che attraversare l’oceano su una barca a vela, però sappiamo che le cose normali non sono mai state nelle nostre corde. Così eccoci qui a rinunciare alla nostra vita comoda e facile per perseguire un sogno, che abbiamo la certezza ci regalerà i giorni che daranno un senso alla nostra esistenza.
E’ difficile spiegare a parole come “viaggiare in barca” possa dare un senso ad una vita intera, eppure a noi bastano due mesi estivi per assaporare quello che potrebbe essere l’avverarsi di un desiderio delle tante stelle viste cadere… In quei due mesi c’è l’aperitivo del nostro voler cambiare vita, o per lo meno provarci. Vivere in barca non è svegliarsi la mattina, fare il bagnetto e poi stare rilassati tutto il giorno a oziare al sole. Quello succede in vacanza con un charter organizzato. Vivere in barca è fatica, è adattamento a spazi e situazioni strette, è sottostare a ritmi dettati dalla natura e non ai tuoi, è sforzo fisico, è sacrificio, è avere le lenzuola umide la notte e fare la doccia fredda, è responsabilità…tanta, è un’incognita ogni mattina sull’evolversi della giornata, è la paura del mare. Se fosse facile andare in barca ne avrebbero tutti una.
D’altro canto però viaggiare a vela è sperimentare la liberà, ma quella vera, quella autentica. Essere avvolti dalla natura ti riporta alle origini, fa venire a galla quell’umiltà che la città ti nega, ti fa sentire un microbo in un corpo pazzesco, immenso. Ci sono momenti in cui le lacrime iniziano a scivolare sulle guance senza che nessuno gliel’abbia chiesto, senti il cuore che si gonfia, il respiro che svanisce, diventi leggero, senza pensieri e quello che resta è solo la tua essenza: la pace, l’amore, la serenità… e così desideri vivere questa sensazione in eterno come quando vorresti che un orgasmo non finisse mai.
Il senso di gratitudine che abbiamo per poterci godere giorni di vita in barca è smisurato, siamo infinitamente grati a un qualcuno o un qualcosa che non ha un nome e un cognome, magari un dio, il destino, boh chi lo sa. O forse a pensarci bene un’entità ce l’ha: siamo NOI! Forse tutta questa fortuna la dobbiamo solo a noi stessi, perchè chi non risica non rosica, perchè abbiamo accolto le difficoltà con resilienza: le fatiche ci hanno unito, le delusioni ci hanno messo in guardia, la pazienza ha dato un senso al tempo, lo sconforto ci ha fatto riscoprire l’entusiasmo, le ingiustizie ci hanno fatto sentire umani, le paure ci hanno dato il coraggio…poi io la chiamo resilienza, ma forse basterebbe la parole amore.
Amore perché quando le difficoltà si affrontano, insieme si dimezzano di intensità, amore perchè quando arriva la fatica hai qualcuno che ti da il cambio, amore perchè l’entusiamo in due ha un valore esponenziale, amore perché quando si è i 5 si è una squadra e ognuno scende in campo, amore perchè quando si è uniti non puoi mai sentirti solo.
Da due anni, traferendoci e affittando casa a Milano ci siamo rimessi in gioco, forse ci siamo illusi di poter fare cassa più velocemente, ma nel mezzo ci sono stati mesi e mesi di affitto non incassato, ci sono state spese impreviste, alla fine adesso c’è una casa grande da gestire, una tata che ogni tanto mi dia il cambio per non rasentare la pazzia, c’è stato che alla fine dovevamo vivere e non sopravvivere. Non avevamo fatto male i conti, ma tra un foglio exel di entrate e uscite e la vita di tutti i giorni c’è una bella differenza. In tutto questo abbiamo inoltre visto un’eredità cospicua finire in altre tasche, ma anche questo non ci ha fermati, ci ha resi più forti, più determinati per raggiungere il nostro obiettivo da soli.
Così ti svegli un mattina di novembre e hai la percezione di essere come un tuffatore che ha appena staccato i piedi dal trampolino più alto del monto, si sta giocando la sfida della sua vita, ha le braccia aperte, non può più tornare indietro, oramai il salto è stato fatto, adesso deve solo sperare che la piscina non sia vuota.
È bellissimo